Razza e scienza


Immagine di copertina del primo numero de La difesa della razza
Il razzismo del Novecento, che si è espresso nel fascismo e nel nazismo e che si è tradotto tragicamente nella persecuzione e nel massacro di ebrei e rom, aveva la pretesa di fondarsi scientificamente. Il Manifesto della razza del 1938, firmato da diversi scienziati tra cui il noto antropologo Lidio Cipriani, affermava che “Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza”. E aggiungeva: “È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall'altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili”. 
Si trattava di affermazioni teoriche che anticipavano e intendevano giustificare le leggi razziali dello stesso anno, rafforzate con la fondazione, nello stesso anno, la rivista La difesa della razza, che fin dalla copertina del primo numero mostrava il suo intendo: separare drasticamente la razza ariana da quella semitica e da quella nera. 

Lo sviluppo più recente degli studi di paleoantropologia – la scienza che studia i resti fossili degli ominidi – e di genetica (cui ha dato un contributo fondamentale l'italiano Luigi Luca Cavalli-Sforza) dimostrano che il razzismo scientifico è privo di qualsiasi fondamento. E' falso che esistano razze umane biologicamente distinte ed è falso che i diversi popoli non abbiano una origine comune in Africa. Biologicamente per razza si intende una sottospecie con caratteristiche genetiche diverse e proprie, significativamente diverse dalle altre. Il genere Homo è comparso in Africa intorno ai due milioni e mezzo di anni fa. L’Homo ergaster, comparso circa 1,9 milioni di anni fa, possedeva già un corpo slanciato, una rudimentale capacità di lavorazione della pietra, mostrava una prima crescita del volume del cranio e, fattore importantissimo ai fini evolutivi, uno sviluppo mano rapido delle scimmie, che rende possibile la trasmissione culturale. L’Homo ergaster, che si muoveva in gruppi che hanno giù una certa organizzazione sociale, e si ipotizza che conoscesse l’uso del fuoco, si affacciò fuori dall’Africa intorno ai due milioni di anni fa, attraverso la penisola arabica. 
L’Homo sapiens, la specie cui apparteniamo, è comparso in Africa circa duecentomila anni fa – un tempo molto breve per una specie – e poi si è diffuso in Europa e nel resto del mondo grazie alle migrazioni. Per qualche millennio l’Homo sapiens ha convissuto con altre specie del genere Homo, come l’Homo neanderthalensis (o Uomo di Neanderthal), un ominide caratterizzato da capacità piuttosto raffinate, come il senso estetico e la simbolizzazione. Le due specie si sono sicuramente ibridate, dal momento che nel DNA dell’Homo sapiens è presenta una percentuale (dal 2% al 4%) di DNA dell’Homo Neanderthalensis. 
Poi le altre specie di ominidi si sono estinte, non è chiaro per quale ragione, mentre l'Homo sapiens ha cominciato la colonizzazione dell'intero pianeta. Gli attuali europei si sono originati da una grande migrazione dal Corno d’Africa, avvenuta intorno a centomila anni fa. I gruppi passarono probabilmente attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb (attualmente è tra Gibuti e Yemen), per arrivare in Europa circa cinquantamila anni fa, mentre altri movimenti migratori hanno portato al popolamento dell’Asia e dell’America. 
Tra questi popoli esistono differenze esteriori che appaiono significative, come il colore della pelle e dei capelli, l’altezza, la forma degli occhi eccetera, tuttavia a livello genetico le differenze sono minime, e comunque non tali da consentire di parlare di razze: il 99,9% del DNA di tutti i popoli è identico. Questo vuol dire che geneticamente tutti i popoli derivano da un gruppo di primogenitori piuttosto ristretto, appena qualche migliaio di individui. Come scrive l'antropologo Marco Aime, "La moderna genetica ha decostruito ogni possibile tentativo di classificazione degli umani su base biologica, ma il fatto che le razze non esistano non significa che non esista il razzismo" [1]. Per comprendere le ragioni del razzismo bisogna indagarne le ragioni storiche, sociali e psicologiche.

Note

1. M. Aime, Il punto di vista dell'etnografia, in L. L. Cavalli Sforza, T. Pievani, Homo sapiens. La grande storia della diversità umana,  Codice Edizioni, Torino 2011, p. XV.

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