Paulo Freire

Paulo Freire nasce a Recife, città del nordest del Brasile e capitale dello stato del Pernambuco, nel 1920. Proviene da una famiglia della classe media, anche se tutt’altro che benestante. La gravissima crisi economica del 1929 costringe la sua famiglia ad abbandonare Recife ed a trasferirsi a Jaboatão, una cittadina della provincia. Consegue la laurea in diritto, ma avverte soprattutto la vocazione pedagogica, incoraggiata anche dalla moglie Elza, maestra elementare, che sarà per lui un insostituibile sostegno fino alla sua scomparsa, nel 1986.

L’occasione decisiva arriva nel 1947, quando gli viene proposto di partecipare al Servizio Sociale delle Industrie, occupandosi della formazione culturale degli operai. Il suo impegno si esprime inoltre nella partecipazione al Movimento di Cultura Popolare, che si propone di valorizzare le tradizioni popolari, al cui interno crea I Circoli di Cultura, luoghi per la formazione degli adulti attraverso il dialogo.

Diventato docente all’Università di Recife, si occupa in particolare del Servizio di Estensione Culturale (SEC), che riguarda l’apertura del mondo accademico ai problemi delle classi popolari. Nel 1962, in seguito ad un accordo tra il SEC e lo stato del Rio Grande do Norte, avvia una campagna di alfabetizzazione ad Angicos, una cittadina che aveva più del 70% di analfabeti. Qui Freire elabora il metodo di alfabetizzazione che lo renderà famoso e che negli anni successivi sperimenterà con successo in altri contesti segnati dal sottosviluppo.

Nel 1964 il colpo di Stato militare pone fine alle sue sperimentazioni educative e lo porta in prigione con l’accusa di essere un sovversivo. Verrà liberato dopo settanta giorni, prendendo la via dell’esilio. Si sposta in Cile, poi negli Stati Uniti, dove insegna all’Università di Harvard, e quindi in diversi paesi africani, dove coordina programmi di alfabetizzazione ed educazione degli adulti per conto del Consiglio Mondiale delle Chiese.

Nel 1979 torna in Brasile, riprende l’insegnamento e collabora alla fondazione del Partito dei Lavoratori. Finito il regime militare, viene eletto assessore all’educazione a San Paolo, occupandosi in particolare della formazione degli insegnanti. Muore d’infarto nel 1997, assistito dalla seconda moglie Nita, che è stata anche sua biografa.

Durante la sua vita Freire ha ricevuto trentaquattro lauree honoris causa da università in ogni parte del mondo: un dato che è di per sé sufficiente a dare un’idea del rilievo internazionale del suo lavoro. La pedagogia degli oppressi (1971), una delle opere pedagogiche più influenti della seconda metà del Novecento, resta il suo capolavoro. Tra le altre opere bisogna segnalare almeno L’educazione come pratica della libertà (1967), Pedagogia della speranza (1992) e Pedagogia dell’autonomia (1997).

Alfabetizzazione e coscientizzazione

Il campo nel quale Freire si è impegnato per tutta la vita è quello dell’alfabetizzazione degli adulti. L’impresa di alfabetizzare non è priva di problemi, poiché anche le persone che non sanno leggere e scrivere hanno una loro cultura. Alfabetizzare può significare, allora, combattere e distruggere una cultura orale, sostituendola con la cultura scritta propria delle classi dominanti. L’alfabetizzazione può essere così un’azione di colonizzazione e di assimilazione culturale. Succede se chi lavora all’alfabetizzazione non è, al tempo stesso, attento alla cultura, all’esperienza, ai vissuti delle persone; se non si pone nei loro confronti con un atteggiamento diverso di profonda umiltà ed ascolto.

Paulo Freire ha imparato questa lezione durante il suo lavoro con gli operai nel Servizio Sociale delle Industrie. Un giorno tenne loro una lezione sull’autorità e sulla necessità di evitare castighi violenti. Quando ebbe finito, un operaio prese la parola e cominciò a descrivere le condizioni in cui vivevano lui e gli altri ascoltatori, che erano in netto contrasto con quelle tipicamente borghesi dello stesso Freire. E concluse: è facile essere contro la violenza educativa quando si ha una vita comoda, molto più difficile è quando si fa una vita dura. Grazie a quel discorso Freire imparò che, come scriverà nella Pedagogia della speranza, “l’educatore o l’educatrice progressista, anche se a volte deve parlare alla gente, deve sempre farlo con la gente”.

Questo stare con la gente è il centro della pedagogia di Freire, ed è anche la ragione dello straordinario successo del suo metodo di alfabetizzazione. Alfabetizzare diventa un’impresa di liberazione solo se parte dall’esperienza della comunità, se diventa un modo per far crescere in essa una coscienza piena della propria condizione e della necessità e della possibilità di cambiarla. Freire adopera il termine coscientizzazione per indicare questo processo.

Ciò di cui bisogna prendere coscienza è in primo luogo la propria condizione di vittime di un’oppressione, e quindi la possibilità di uscire dall’oppressione attraverso la lotta. Se l’alfabetizzazione tradizionale, in fondo violenta, è meccanica, e pretende di insegnare a leggere e scrivere usando parole estranee al contesto, il metodo di Freire parte dalle parole che hanno un particolare significato per la comunità.

Da una serie di incontri emergono quelle che Freire chiama parole generatrici, che saranno la base del lavoro di alfabetizzazione. Le parole generatrici vengono presentate non in astratto, ma all’interno di una situazione tipica del contesto. Così, ad esempio, la parola tijolo (mattone) è raffigurata con un’immagine rappresentante un cantiere edile. Quindi le parole vengono scomposte in sillabe, ed ogni sillaba dà origine ad altre sillabe combinata con altre vocali. Le sillabe così ottenute vengono a loro volta combinate per dare origine nuove parole significative. Tutto ciò avviene al di fuori dello schema della lezione frontale, con una disposizione in cerchio che favorisce la partecipazione e la presa della parola.

La realtà dell’oppressione

Nel suo lavoro con e per i poveri, Freire constata la realtà sociale dell’oppressione e ne fa il punto di partenza della sua riflessione e pratica pedagogica. Oltre all’esperienza, concorrono a formare la sua sensibilità sociale ed educativa la spiritualità cristiana ed il marxismo, che in lui (come nella teologia della liberazione) convivono e si completano a vicenda. La sostanza del suo lavoro è rivoluzionaria: si tratta di favorire la liberazione degli oppressi e la nascita di una società priva di oppressione. È importante tuttavia notare che questa rivoluzione non rappresenta una vendetta degli oppressi contro gli oppressori, ma è un processo di liberazione degli stessi oppressori, che in una società libera potranno ritrovare la propria umanità.

Per Freire, una rivoluzione autentica è possibile soltanto se gli oppressi si rendono conto di ospitare dentro di sé l’oppressore. La prima tentazione, per gli oppressi, è quella di prendere semplicemente il posto degli oppressori. Immersi da sempre in una situazione di oppressione, non conoscono altra possibilità che opprimere o essere oppressi. E, quando lottano per liberarsi dalla condizione di oppressi, lo fanno per assumere quella di oppressori. Perché ciò non accada, bisogna che gli oppressi riflettano a fondo sulla loro condizione e scoprano l’oppressore interiorizzato.

Una delle caratteristiche fondamentali dell’essere umano per Freire è la tendenza ad essere di più (ser mais). Per sua natura l’uomo è un essere in divenire, cerca sempre di essere più di quello che è, di cambiare, di migliorare, di crescere. Ma ciò non sempre è possibile. In una situazione di oppressione, gli oppressi sono costretti ad essere di meno, a realizzare solo parzialmente la loro umanità. La stessa cosa accade paradossalmente agli oppressori: per loro essere di più significa possedere, avere di più, il che vuol dire in effetti essere di meno. “Nessuno – scrive Freire – può ‘essere’ con autenticità, mentre impedisce che gli altri siano”. Dove c’è oppressione c’è disumanizzazione: gli oppressi sono ridotti a cose, gli oppressori riducono sé stessi a possessori di cose. Né gli uni né gli altri possono essere pienamente umani.

L’educazione problematizzante

Affinché l’educazione diventi fattore e mezzo di liberazione, occorre che essa si trasformi. In una società segnata dall’oppressione, ossia dall’inautenticità, anche l’educazione è falsa. Tale è, per Freire, quella che chiama educazione depositaria, che è l’impostazione ancora oggi dominante nelle scuole: il docente fa lezione in modo frontare, esponendo dei contenuti agli studenti che ascoltano in modo passivo, memorizzando e ripetendo quei contenuti. La cultura diventa un sistema di nozioni statiche che vengono semplicemente depositate nella mente degli alunni. Anche questa educazione è una forma di oppressione, nella misura in cui non aiuta gli alunni ad essere di più, ma al contrario li rende passivi, fa di loro degli automi cui si chiede solo di ripetere stancamente delle cose imparate a memoria.

L’alternativa all’educazione depositaria è quella che Freire chiama educazione problematizzante. Essa parte da un profondo ripensamento della relazione tra docente ed alunno. Nella concezione tradizionale, l’educazione è qualcosa che l’educatore fa agli educandi. L’educatore è, appunto, colui che educa. All’educando non resta che lasciarsi educare. Non è difficile rendersi conto che anche questo è un rapporto di oppressione. Un autentico rapporto educativo per Freire non può essere che un rapporto autenticamente dialogico. L’educatore entra in dialogo con l’educando, e si rende conto che in questo dialogo lui stesso viene educato. Non ci sono più un educatore ed un educando, ma due soggetti che si educano insieme. “A questo punto – scrive Freire – nessuno educa nessuno, e neppure se stesso: gli uomini si educano in comunione, attraverso la mediazione del mondo”. L’educatore non è più colui che ha acquisito la conoscenza e la trasmette agli educandi. L’educatore è un ricercatore che cerca insieme ai suoi studenti. L’educazione è questa ricerca comune, continua, nella quale si tenta insieme di comprendere sempre di più, e attraverso la comprensione di essere sempre di più.

Solo se c’è questa profonda comunione è possibile un autentico rispetto reciproco tra educatore ed educando; solo così chi insegna può aprirsi realmente al mondo culturale dei suoi studenti (siano essi bambini, ragazzi ed adulti) ed accettarlo. E solo così il processo educativo può favorire la crescita di persone libere, critiche, capaci di cogliere la realtà dell’oppressione e di liberarsene, poiché hanno fatto esperienza concreta di una diversa possibilità relazionale, di un diverso modo di essere insieme. L’educazione non è solo preparazione alla rivoluzione che porterà al superamento dell’oppressione; è già liberazione in atto, creazione di situazioni umane nelle quali l’oppressione sociale è sospesa, ed è possibile essere pienamente umani.

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