Gli attacchi di panico


Secondo il rapporto Istat La salute mentale nelle varie fasi della vita, relativo al periodo 2015-2017, in Italia il disturbo mentale più diffuso è la depressione, seguito dall'ansia cronica grave, con la quale è spesso associata. L'ansia cronica colpisce il 7% della popolazione al di sopra dei quattordici anni, vale a dire 3,7 milioni di persone;1 gli attacchi di panico ne sono una manifestazione frequente e rilevante per le conseguenze psicologiche. Chi soffre di attacchi di panico, infatti, tende a sviluppare una paura incontrollata che gli stessi possano ripetersi in determinate situazioni sociali: nell'autobus, a scuola, in ascensore o al supermercato. Nei casi peggiori, si tende a sfuggire ogni situazione sociale ed ogni luogo che possa aumentare il senso di ansia, con conseguenze importanti sulla vita personale.

Un attacco di panico si riconosce, secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V), per la presenza di almeno quattro dei seguenti sintomi:2

  1. Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia.
  2. Sudorazione.
  3. Tremori fini o a grandi scosse.
  4. Dispnea o sensazione di soffocamento.
  5. Sensazione di asfissia.
  6. Dolore o fastidio al petto.
  7. Nausea o disturbi addominali.
  8. Sensazioni di vertigine, di instabilità , di "testa leggera" o di svenimento.
  9. Brividi o vampate di calore.
  10. Parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio).
  11. Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi).
  12. Paura di perdere il controllo o di "impazzire".
  13. Paura di morire.

L'attacco raggiunge il picco in pochi minuti e poi si risolve spontaneamente. Affinché si possa parlare di attacco di panico occorre che questi sintomi non siano riconducibili all'assunzione di sostanze come farmaci, alcol o droghe. Gli attacchi sono classificati come attesi o situazionali se si verificano in presenza di un elemento scatenante evidente o inaspettati se un simile elemento manca, e l'attacco avviene in una situazione non particolarmente stressante. Un attacco di panico può essere anche notturno; in questo caso il soggetto si sveglia improvvisamente in preda ad un attacco di panico.

Secondo il DSM-V gli attacchi di panico sono più frequenti tra le femmine, colpiscono raramente i bambini e in media insorgono verso i 22-23 anni. Quanto agli adolescenti, essi "potrebbero essere meno disposti degli adulti a parlare apertamente degli attacchi di panico, anche se manifestano episodi di paura o disagio intensi" 3 Sembra che su questo punto il DSM, che risale, nella sua quinta edizione, al 2013, debba essere aggiornato. Gli attacchi di panico tra adolescenti sono molto frequenti e spesso avvengono a scuola, costringendoli di fatto a parlarne con gli adulti. Alla base di un tale fenomeno, che sta diventando sempre più statisticamente significativo, ci sono spesso situazioni famigliari - ad esempio la separazione dei genitori o un lutto - ma anche lo stress legato alla routine scolastica.

Come avviene un attacco di panico? Una situazione che ognuno di noi sperimenta è la paura. Essa si verifica in presenza di uno stimolo scatenante (la visione di una scena raccapricciante o di un animale pericoloso) e si manifesta con una serie di sintomi fisici e psicologici. Quando abbiamo paura possiamo provare tremore, sudare, sentirci smarriti. Nel caso del panico, questi sintomi sono portati all'estremo, e tutto ciò in assenza di un evidente elemento scatenante. Il soggetto prova una paura che è fuori controllo, senza che apparentemente ci sia alcun pericolo che possa giustificare una tale reazione.

La parte del nostro cervello che gestisce le nostre emozioni è l'amigdala, un complesso che si trova nel lobo temporale. Quando accade un attacco di panico, l'amigdala percepisce una situazione di pericolo, pur non essendovi alcuna minaccia reale. Perché accade? Secondo Enrico Rolla,4 quando viviamo una situazione di ansia la nostra resporazione tende spontaneamente a diventare rapida. In questo modo si crea nel corpo uno squilibrio: la respirazione scorretta porta una quantità eccessiva di ossigeno e una minore quantità di anidride carbonica, che l'amigdala interpreta come un segnale di pericolo. Noi normalmente monitoriamo sia gli stimoli esterni che quelli interni, per individuare tempestivamente segnali di pericolo. Siamo attenti a un animale che potrebbe aggredirci, ma anche al dente che fa male o ai sintomi di un infarto. In questo caso il cervello appunto individua un segnale interno di pericolo ed innesca una reazione incontrollata ed evidentemente disfunzionale.

Se le cose stanno così, per affrontare gli attacchi di panico è importante lavorare sulla stessa respirazione, concentrandosi in particolare sulla respirazione diaframmatica o addominale. Si adopera inoltre il rilassamento muscolare progressivo, una tecnica creata negli anni Trenta del secolo scorso da Edmund Jacobson:5 contraendo progressivamente e rilasciando i diversi muscoli del corpo, si impara a superare autonomamente la tensione muscolare ed a rilassare il corpo. In molti casi, perché opportunamente trattati o per il venir meno degli elementi scatenanti -- situazioni particolarlmente stressanti -- gli attacchi di panico regrediscono fino a scomparire; in altri possono invece evolgere in un disturbo di panico, nel quale la preoccupazione per la possibilità che avvengano attacchi di panico diventa essa stessa un disturbo, spingendo a cambiare il comportamento in modo sensibile, ad esempio evitando tutti i luoghi e le situazioni in cui si teme che possa verificarsi un attacco.

 


1 Istat, La salute mentale nelle varie fasi della vita. Anni 2015-2017, report, url: https://www.istat.it/it/files/2018/07/Report_Salute_mentale.pdf
2 American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Quinta edizione (DSM-V), Raffaello Cortina, Milano 2014, p. 247.
3 Ivi, p. 249.
4 E. Rolla, Attacchi di Panico. Come uscirne: La potenza della Terapia Cognitivo Comportamentale, Istituto Watson, Torino 2017.
5 E. Jacobson, Progressive relaxation: A physiological and clinical investigation of muscular states and their significance in psychology and medical practice, University of Chicago Press, Chicago 1938.

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